Abbiamo incontrato Valerio Vigliaturo vincitore del Premio Carver 2018 con il suo romanzo “Dalla parte opposta” e gli abbiamo fatto qualche domanda.
Il tuo è un libro tenacemente politico. Va pervicacemente oltre l'evidente deriva e desertificazione dell'azione dialogica, eppure il tuo personaggio si lancia in letture del contemporaneo. Alla fine lascia per strada tante molliche di pane - emulo di Hansel, convintamente senza Gretel - che però non portano alla sperata soluzione. E' una scelta o si tratta di una resa?
Non so dire se il mio romanzo sia politico, sicuramente è contemporaneo in quanto ritengo che sia necessario parlare di quello che succede e che succederà nell’immediato futuro, come degli effetti che deriveranno dagli sviluppi delle nuove tecnologie, dalla robotica all’ingegneria genetica, e che uno scrittore non possa esimersi dal trattare i temi fondamentali, i paradigmi universali della vita se non vuole essere un superficiale o peggio ancora un perfetto idiota come sosteneva Orwell. L’unica soluzione possibile è quella di mettere dei paletti, adottare delle regole nuove politiche, economiche, sociali, prima che sia troppo tardi.
Si consuma tutto in questo libro senza però raggiungere un orgasmo sufficiente e duraturo. Eppure il lettore non sente il bisogno di una scialuppa. E' assuefazione al destino del trionfo del capitalismo o con questo intendi raccontare altro?
Non sentirsi mai appagati è la sensazione che prova chi è spinto da una continua esigenza di miglioramento esistenziale, e che è radicata nell’animo poetico di chi non riesce a dominare mai completamente la vita che gli sfugge con il timore perenne che nulla sarà mai duraturo, che nessun rapporto è niente durerà per sempre. In questo certo anche il consumismo ci ha plagiati, e le nuove generazioni sono vittime di questa bulimia di cose e di questa insoddisfazione che le porta a non essere mai paghe di quello che hanno ricercando sempre qualcosa di nuovo, altro.
La Thailandia come isola distante millemiglia è sicuramente uno dei passaggi più forti del libro e non solamente per via di un socio sguaiato e cafone. Anche qui lo sfondo è contrasto ad un sentimento perché il tuo protagonista non sembra mai perdere la speranza di trovare quell'amore perduto. Cosa intendi per amore?
L’amore è il motore immobile che ‘move il sole e le altre stelle’. Innamorarsi è in fondo la cosa più saggia che si possa fare, la spinta che fa muovere il protagonista alla ricerca di un barlume di umanità da salvare e preservare in questa lotta impari che si prospetta con algoritmi, intelligenze artificiali e macchine. E solo l’incontro con una donna ideale potrà proiettarlo verso il romanticismo di una nuova esistenza.
Il finale del romanzo è per certi versi aperto. Stai scrivendo un seguito?
Il finale è lasciato volutamente aperto, anche se questa scelta prima della pubblicazione è stata criticata da alcuni editori che come lo struzzo mettono la testa sotto la sabbia, dimenticando che la letteratura è piena di finali lasciati inconclusi o sospesi... Ma anche ciclico perché torna ‘al medesimo punto provenendo dalla parte opposta’ passando da est a ovest attraverso una proiezione siderale dalla Thailandia agli Stati Uniti. La scelta del protagonista dopo varie vicissitudini esistenziali di smaterializzarsi in una macchina o un robot potrebbe trovare un seguito chi lo sa come scrivo nei versi conclusivi ‘Dopo un grande viaggio in attesa di altri grandi viaggi’, oppure stanco del suo io odioso, per dirla alla Pascal, potrebbe salvare o riportare alla luce la vita di qualcun altro.
Infine l'ultima domanda. In morte del lettore, la più ricercata dagli scrittori desiderosi di possedere l'anima di coloro che cadono preda delle involuzioni del narratore. E allora il libro è più cicuta che va ben dosata e assorbita in piccolissime dosi o cianuro da ingoiare e via?
Io non cerco la morte del lettore bensì la sua vitalità, il prolungarsi della mia nella sua attraverso la lettura e viceversa della sua nella mia grazie allo scambio che si crea come durante le presentazioni. E poi, citando il celebre saggio di Roland Barthes, è l’autore ad essere ormai morto da decenni, sorpassato dall’onnipotenza del lettore, dell’opinione, dell’ermeneutica, ormai privo di autorevolezza è destinato a soccombere!
Ultima cosa. Veramente l’ultima: presenta te stesso come autore.
È sempre difficile presentare se stessi, soprattutto come autore dopo averne decretato il funerale ;-) Lo trovo un esercizio sterile che si deve necessariamente confrontare con la visione che hanno di te i lettori, nella maniera in cui si identificano con ciò che scrivi e lo fanno proprio, aumentando così la vita degli altri.